Milton Glaser

I LOVE MILTON GLASER: OMAGGIO A UN GENIO DELLA GRAFICA E DEL DESIGN.

Ci sono personaggi capaci di segnare un’epoca, e personaggi che sanno attraversarle tutte grazie al tratto deciso della loro personalità. Si capisce abbastanza che ci piace Milton Glaser?

Se pensate a Milton Glaser vi viene subito in mente, ammettetelo, il suo iconico logo I LOVE NY, che ha anticipato di 40 anni il successo degli emoticon e degli emoji. E newyorkese Milton Glaser lo è di sicuro: è lì che è nato nel 1929, lì ha compiuto i suoi primi studi di arte, ma la sua arte ha anche un’anima tutta italiana.

Nel 1951, infatti, il giovane Glaser venne a studiare all’Accademia di belle arti di Bologna, dove ebbe la fortuna di incontrare un mentore della statura di Giorgio Morandi.

Visse silenziosamente e produsse monumenti

disse Glaser del maestro in occasione di una retrospettiva del 1989. Da Morandi Glaser imparò sicuramente l’arte del disegno, che per lui viene prima di qualsiasi altra cosa. Soprattutto del computer.

Una fra le sue frasi di culto è infatti quella che definisce i computer come l’equivalente per il design di quello che il microonde è stato per la cucina. I computer hanno sicuramente democratizzato l’approccio alla creatività, ma hanno anche aperto la strada all’improvvisazione e al dilettantismo.

Per Milton Glaser la mediocrità è quella che sta uccidendo la qualità, in nome di una democraticità che è solo apparente. Con un’altra metafora gastronomica ha definito le gare “aperte al pubblico” (come quella del logo della città di Firenze o quella dall’esito criticatissimo del logo di Trieste) come un concorso gastronomico in cui devi assaggiare 500 piatti: “Se hai 500 piatti da assaggiare, come fai a dire qual è il piatto più buono? Più sono le persone invitate, e in questo caso sono tutti, più è certo che ci sarà un cattivo risultato. Questa è un’obiezione statistica, non artistica.”

Essere mediocre per Milton Glaser non è mai stato un’opzione: a soli 25 anni fonda i Push Pin Studios, una vera e propria fucina di talenti grafici che ebbe fra le sue fila, fra gli altri, anche uno dei più famosi designer di libri della storia, quel John Alcorn che negli anni settanta rifece tutta la grafica della BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli.

Nel 1970 una personale dei Push Pin Studio fu sponsorizzata da Olivetti e ospitata al Louvre, quando Milton Glaser aveva appena 41 anni. Avrebbe anche potuto accontentarsi, magari citando un’abusata frase zen come “Less is More”. Ma anche questo è un altro di quei luoghi comuni che Glaser odia: “Guardate un tappeto persiano, i suoi intrecci di linee e di colori. Siete ancora del parere che il meno sia il meglio?”.

“Just enough is more”, insomma, perché ogni progetto ha una sua cifra precisa che va studiata, cercata e raggiunta utilizzando esattamente quello che serve. Per questo le ispirazioni di Glaser sono multiformi: da Picasso a Matisse, da Roy Liechtenstei a Magritte… Una curiosità inesauribile e una molla al cambiamento costante, dettata dalla necessità di trovarsi ogni giorno qualcosa da fare per guadagnarsi da vivere. Perché, come ama ripetere “Se trovi un’occupazione stabile, prima o poi qualcuno te la porterà via”.

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