Nella nota di oggi parliamo della passione per collezionare meraviglie, continuando l’esplorazione delle analogie che ci sono fra le modalità di espressione più attuali, per semplicità chiamate “digitali”, e quelle tradizionalmente definite com reali.
Un confine che diventa di giorno in giorno sempre più labile, fatto soltanto di parole: nel nostro caso, per esempio, la definizione di “tipografia online” si riferisce soltanto alla possibilità di inoltrare online gli ordini, perché il prodotto che si riceve, come nel caso dei libri che stampate con noi, è decisamente reale, nato da decenni di esperienza nella tipografia tradizionale e fatto di carta, inchiostri, finiture e lavorazioni che sono totalmente concrete.
Così, il successo di app come instagram e pinterest, con la possibilità che offrono a ognuno di collezionare e mettere in mostra le proprie passioni, riordinandole secondo criteri assolutamente personali, affonda le sue radici in una modalità di collezionismo che una volta erano riservate soltanto alle classi dominanti.
Ci abbiamo pensato visitando l’interessante mostra
“Il Sarcofago di Spitzmaus”, alla
Fondazione Prada di Milano fino al 13 gennaio 2020, in cui il
regista Wes Anderson e la sua compagna Juman Malouf hanno riorganizzato secondo criteri spesso imperscrutabili alcuni oggetti presi dalla collezione del Kunsthistorische Museum di Vienna. Un museo che al suo interno racchiude il cuore stesso di quesa mostra, la Kunstkammer che mostra come collezionare meraviglie, stranezze e oggetti preziosi fosse una passione di lunga data per la dinastia degli Asburgo: calici che sembrano il santo graal, denti di Narvalo acquistati come corna di unicorno, formazioni coralline e altro ancora.
E proprio come una wunderkammer, una stanza delle meraviglie, è strutturata la mostra curata da Anderson e Malouf: in teche ben allineate, in un’atmosfera buia e rilassata, gli oggetti si allineano secondo criteri che non sono cronologici come avviene di solito in un museo, ma di volta in volta puramente estetici, come statue di vari soggetti messe in mostra dalla più piccola alla più grande, oppure funzionali come nel caso della grande vetrina in cui sono esposti solo contenitori: il contenitore di una pipa, il contenitore di un calice, il contenitore di piume ornamentali…
Passeggiare fra le vetrine della mostra consente di riordinare gli oggetti mostrati cercando di ricostruire le motivazioni delle scelte, ma anche di scoprire percorsi inattesi e puramente personali: il quadro di un gatto è posto sopra quello di un topo, e di fronte ai due quadri il sarcofago egizio che dà il itolo alla mostra, con una disposizione che può far pensare che il topo contenuto nel sarcofago sia quello ucciso dal gatto lì di fronte.
Una vetrina alterna tassidermie di animali alle loro riproduzioni in ceramica o legno, in un’altra è racchiusa una pianta che, guardandola bene, si scopre essere fatta di piume prese da rari uccelli tropicali in un trattamento che richiama alla memoria le scatole realizzata da Joseph Cornell.
Questo bizzarro artista, vissuto negli Stati Uniti dal 1903 al 1972, è stato spesso avvicinato ai surrealisti ma il suo livello di visionarietà lo mostra più come un anticipatore dell’attuale collezionismo digitale. Nella sua collocazione marginale anche dal punto di vista geografico e sociale, Cornell viveva nel Massachussets, con la madre un fratello affetto da pesanti problemi psichiatrici e durante la giornata collezionava oggetti strani che poi riassemblava all’interno di quelle che chiamava “shadow boxes” e che ancora oggi rappresentano la parte più conosciuta della sua opera.
Come in una home page di Instagram o un board di pinterest, le scatole di Cornell così come le vetrine della mostra curata da Wes Anderson cercano di dare una sistemazione assolutamente personale a tutti gli stimoli che quotidianamente ci colpiscono dal mondo esterno, ricreando emozioni e suggestioni in grado di aiutarci a catalogare un mondo che altrimenti sembrerebbe fatto soltanto di oggetti magari interessanti, ma scollegati fra loro. Collegarli è il compito di chi nel mondo della comunicazione online è chiamato “content curator”, capaci di far rientrare le suggestioni provenienti dallo sterminato archivio dei contenuti prodotti nel mondo quelli che più sono idonei a costruire il percorso strategico definito insieme all’azienda per cui sta lavorando. Ma anche il compito di chi voglia costruire una propria identità personale in un mondo sovraffollato di stimoli, mostrando agli altri come nella propria giornata possa essere in grado di collezionare meraviglie.
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