Dopo la puntata dedicata alla Cow Gum, prosegue il viaggio fra le memorabilia della grafica che fu: oggi parliamo dei trasferibili Letraset.
Gratta gratta, sotto i grafici e i creativi non più giovanissimi c’è sempre un pizzico di nostalgia per l’analogico: soprattuto se, e succede spessissimo, la parola grattare riporta alla mente le gioie perdute del catalogo di trasferibili Letraset, che per anni sono stati l’unico modo per comporre layout ed esecutivi (sui fogli Schoeller, parleremo anche di quelli prima o poi).
Alla storia di queste icone della nostalgia grafica è stato perfino dedicato un libro, edito in tiratura limitata da United Editions: “Letraset: The DIY Typography Revolution”.
Il titolo nasce dallo slogan con cui nel 1961, quando i Beatles si esibivano ancora nei locali di Amburgo per intenderci sulla quantità di tempo passato, un’azienda di Londra lanciò sul mercato questi fogli di materiale plastico in cui erano riprodotte le principali famiglie di caratteri. Da una scrivania all’altra ci si litigavano i fogli con i caratteri Helvetica, ma anche Garamond, futura e Times New Roman andavano alla grande. Non appena si toglieva la carta velina protettiva, si diffondeva nell’aria un gradevole odore di colla (praticamente si cresceva con l’odore di colla negli studi grafici e nelle agenzie di una volta) seguito dal ritmico raschiare dello sgarzino (dicesi sgarzino l’apposito raschietto utilizzato dai grafici per togliere dal foglio le macchie di inchiostro).
Lo sgarzino, infatti, faceva pressione sulla lettera selezionata che si staccava dal foglio trasparente e andava a posizionarsi sulla pagina in lavorazione: sì, proprio come i “trasferelli” con cui poco tempo dopo il lancio iniziarono a giocare i bambini di tutto il mondo e che nascevano proprio dal successo di questa rivoluzionaria tipografia fai da te.
Sul foglio erano indicate anche le distanze consigliate da tenere fra una lettera e un’altra cioè il Kerning, lo chiamano quelli più preparati: alcuni dicono Keming, ma quest’ultima dizione nasce proprio dall’uso errato del kerning… uno scherzo che solo i grafici potranno capire.
All’inizio non era così facile, dal momento che le lettere andavano inumidite come succedeva con le decalcomanie che si trovavano all’epoca nelle gomme da masticare, ma l’avvento della colla fu davvero la chiave di volta, e la sua qualità aiutava a distinguere fra gli originali e prestigiosi Letraset e le imitazioni più economiche come i Mecanorma o gli R41, croce dei grafici con minore disponibilità economica.
Utilizzare Letraset voleva dire evitare inutili anni di purgatorio causati dalle colorite espressioni che venivano generate dalle lettere che si staccavano male dal foglio, o che si rompevano, o che non erano proprio uguali ai caratteri originali: tutti inconvenienti che capitavano con le imitazioni.
Imitazioni che, fra l’altro non comprendevano tutti gl optional dell’originale, che aveva in catalogo anche differenti sfumature di retino tipografico (screen tones), gli stessi che ancora oggi vengono utilizzati come sfondi dai creatori di manga.
Collocati temporalmente a metà strada fra la “tipografia calda” della composizione manuale e la “tipografia fredda” dei computer, i trasferibili Letraset sono stati il primo esempio di democratizzazione della prassi tipografica e, infatti, erano utilizzatissimi da chi si dilettava nella preparazione di giornali scolastici o di fanzine.
Grazie all’enorme diffusione in tutto il mondo , Letraset vinse due Queen’s Award per l’esportazione che rappresentava il 75% del fatturato aziendale, che partendo dalle 750.000 sterline del 1963 era arrivato nel 1978 alla ragguardevole cifra di 46 milioni. Poi arrivarono le fotocopiatrici, poi i computer, la fotocomposizione e lentamente i fogli Letraset si ritrovarono a poltrire nei cassetti per poi essere regalati ai bambini per giocare a imparare l’alfabeto, lasciando i genitori grafici ad ammirare le creazioni dei piccoli con la leggera inquietudine data dal notare come la carenza delle lettere più utilizzate costringeva i bambini ad assemblare caratteri diversi, dando alle loro creazioni l’aspetto delle più tradizionali lettere per la richiesta di riscatto viste nei film polizieschi.
Il tutto mentre le x, le y, le w e le k continuavano a restare attaccate ai loro fogli e chissà, forse molte sono ancora lì: inviateci una prova fotografica, se ne avete.
Nella gallery, alcune immagini dal libro “Letraset: the DIY Typography Revolution”