A Palazzo Reale di Milano, una grande mostra dedicata a Keith Haring, l’artista il cui tratto grafico è diventato una vera e propria icona della contemporaneità.
Dal 21 febbraio al 18 giugno 2017, Milano ospita a Palazzo Reale una grande retrospettiva dedicata a Keith Haring: oltre 110 dipinti, molti mai visti in Italia e in Europa, che raccontano la sua arte e i rapporti che ha avuto con altri maestri di tutti i tempi. Un’occasione unica per riscoprire come con il suo stile inimitabile Keith Haring abbia inserito nel proprio progetto artistico molteplici influenze, dal Rinascimento a Jackson Pollock, dall’arte etnica del pacifico alla colonna Traiana.
Noi invece vi proponiamo una visione di questo genio scomparso troppo presto attraverso il racconto di alcuni episodi che lo legano a città diverse. Partendo da Milano, ovviamente.
Keith Haring e Milano: una grande storia d’amore.
Prima della mostra About Art a Palazzo Reale, Keith Haring aveva avuto una retrospettiva alla Triennale di Milano nel 2005. Ma per chi ha vissuto il fervore creativo e culturale della Milano degli anni ottanta, che non era soltanto da bere, Keith Haring significa soprattuto un vero e proprio Happening avvenuto nel cuore della capitale della moda.
Nel 1983 Elio Fiorucci aveva completamente svuotato il suo negozio storico in Piazza San Babila, e aveva affidato al giovane artista newyorkese questa immensa tela bianca da ricoprire con la sua creatività.
I disegni che Keith Haring realizzò in questo site specific furono veramente indimenticabili, ma il capolavoro più grande fu l’happening in cui venne trasformata la sua presenza in negozio: due giorni ininterrotti di apertura, con la gente che ammirava il lavoro di Keith, la musica che trasmetteva il suo “Ghetto Blaster”, le facce della fauna multicolore e cosmopolita che usciva allo scoperto per assistere all’evento, il coinvolgimento emotivo che riusciva a dare anche ai personaggi più insospettabili e ai semplici curiosi. Insomma, Milano si era trasformata per un momento nella capitale mondiale della nuova cultura Hip Hop che arrivava da New York.
Keith Haring e New York: l’epoca di The get Down.
Keith Haring non era nato a New York, ma la città che non dorme mai era nel suo destino, e il giovane aspirante artista di Pittsburgh non ci mise molto a diventare il beniamino di quel regno che Andy Wharol aveva trasformato nel paradiso indiscusso dell’arte contemporanea.
Anche Keith come Andy amava le commistioni creative con personaggi emergenti della scene musicale e artistiche, e se Wahrol trasformava in arte oggetti della quotidianità mettendoli in scena, Keith trasformava la città stessa in una grande tela su cui intervenire come aveva fatto negli spazi pubblicitari vuoti della metropolitana di New York.
Uscita dalla crisi di identità raccontata benissimo dal romanzo “Città in Fiamme” di Garth Risk Hallberg, la grande mela stava diventando la culla delle crew di Hip Hop: Grandmaster Flash and the Furious Five facevano ballare l’intera città a colpi di scratch e di rap, mentre Basquiat scriveva le sue poesie in ogni angolo di una città che è la vera protagonista della serie televisiva The Get Down, realizzata per Netflix dal regista Bazz Luhrmann
Keith Haring: ritorno in Italia per “Tuttomondo”
Ed è proprio a New York che Keith Haring incontra il giovane studente pisano Piergiorgio Castellani che, chiacchierando con lui per le strade della Big Apple, gli propone un’idea che poteva sembrare una pazzia, ma che proprio per questo è diventata realtà: decorare con un enorme murale, quella che adesso si chiamerebbe Street Art, un palazzo di Pisa. Haring accettò, il palazzo fu trovato e la parete di quello che era un vecchio convento divenne l’ultimo, grande capolavoro di un vero maestro dell’arte contemporanea.
In soli quattro giorni, in un altro indimenticabile Happening, Keith Haring ricoprì quell’enorme parete con un complesso e coloratissimo inno alla vita, che in Toscana ha avuto modo di gustare appieno, come scrive nel suo diario: “Il tempo era bellissimo e il cibo ancora meglio. Ho impiegato quattro giorni per dipingere. Sto in un albergo direttamente di fronte al muro, così lo vedo prima di addormentarmi e quando mi sveglio. C’è sempre qualcuno che lo guarda (l’altra notte anche alle 4 del mattino). È davvero interessante vedere le reazioni della gente.”
Pochi prima della sua morte per aids avvenuta nel febbraio del 1990, Keith Haring ha lasciato proprio nel nostro paese una ultima, grande testimonianza della sua straordinaria vitalità.
Foto cover: Keith Haring, Tree of Life, 1985, Acrilico su tela 152,5 x 152,5 cm Collezione privata © Keith Haring Foundation